Le riflessioni antipatiche
Eccoci qui, nell’Italia del 2024, dove i giovani non sono solo schiacciati dall’inflazione o da stipendi che fanno piangere anche il bancomat, ma soffrono pure di una cosa che si chiama povertà educativa. E no, non stiamo parlando del solito stereotipo del "giovane fannullone" che non studia e passa il tempo sui social. Qui la questione è molto più seria: scuole che cadono a pezzi, biblioteche che sembrano più antiquari che centri culturali, e attività sportive che sono diventate un lusso.
La povertà educativa, come sottolineato nell’articolo di Repubblica.it, è quel fenomeno subdolo che colpisce le nuove generazioni, privandole di risorse culturali e sociali essenziali. Non parliamo solo della scuola, ma di tutto quell’insieme di stimoli che dovrebbero preparare i ragazzi a pensare con la loro testa e a essere cittadini attivi. Ma evidentemente questo concetto è sfuggito ai piani alti.
La rabbia. Quel sentimento che ci fa bollire il sangue, che ci fa stringere i pugni e gridare al mondo (o almeno contro il malcapitato di turno) che qualcosa non va. E diciamocelo: quante volte ci hanno insegnato che la rabbia è una brutta bestia da reprimere, soffocare, nascondere? Un po' come una macchia imbarazzante che cerchiamo di coprire col maglione giusto.
Ma aspetta un attimo: e se la rabbia, in realtà, fosse qualcosa di più utile di quanto ci abbiano fatto credere? E se fosse il segnale di un malessere più profondo, una sorta di campanello d'allarme che ci avvisa che qualcosa, nella nostra vita, ci sta avvelenando lentamente? Forse dovremmo smettere di vederla solo come un nemico, e iniziare a trattarla per quello che è: una reazione naturale a situazioni che non dovremmo tollerare.
Ebbene sì, lo smart working è ancora sulla bocca di tutti, e stavolta c'è una novità. A quanto pare, il governo ha deciso di dare un incentivo economico a chi, nella Pubblica Amministrazione, continuerà a lavorare da casa. Certo, è sempre un piacere vedere che lo Stato si rende conto che lavorare da casa non è solo una scusa per stare in pigiama davanti al PC (anche se ammettiamolo, per qualcuno potrebbe essere un piccolo vantaggio extra).
Ma qui nasce la domanda che tutti ci poniamo: basteranno gli aumenti per farci accettare il fatto che il futuro del lavoro sarà, almeno in parte, dietro uno schermo?
Il grande mito dello smart working: lavoro o vacanza?
Ebbene sì, signore e signori, l’Intelligenza Artificiale ha conquistato il suo posto anche nel sacro tempio del Nobel, quello che, diciamocelo, per molti è il massimo sigillo di approvazione scientifica. Geoffrey Hinton, guru dell’intelligenza artificiale, e John Hopfield, colui che ha messo il turbo alle nostre reti neurali, sono stati premiati con il Nobel per la fisica. E mentre tutto il mondo della scienza applaude, da qualche angolo buio (leggasi: gruppi Facebook di cospirazionisti e catastrofisti), i soliti pessimisti sbuffano e sentenziano sull’imminente apocalisse robotica.
Ma facciamo due riflessioni. Ormai è una battaglia quotidiana contro i pessimisti dell'AI, quelli che da anni predicano che la tecnologia ci ruberà il lavoro, ci conquisterà la mente e, alla fine, ci sostituirà nel grande schema dell’universo. Insomma, per loro, la macchina che vince il Nobel è un passo verso "Terminator", non verso l'evoluzione della scienza.
C’è una parola che ha preso piede in modo insidioso nelle nostre comunicazioni quotidiane, una parola che, nella sua apparente gentilezza, ha il potenziale di scatenare emozioni, rabbia, e, perché no, anche conflitti: "Cara".
Avete mai ricevuto una mail o un messaggio che iniziava con "Cara"? Non è mica così innocente come sembra. Anzi, c'è qualcosa di subdolo dietro quel saluto apparentemente cordiale. E no, non stiamo parlando del tono caloroso e amichevole che ci si aspetterebbe. Piuttosto, "Cara" è diventata la preferita quando si vuole dare una bella stoccata, ma con grazia. È un modo per essere acidi senza sembrare apertamente offensivi. Insomma, è l’equivalente linguistico di una coltellata con il sorriso sulle labbra.
È successo di nuovo. Un'altra tragedia familiare, questa volta a Nuoro, ha scosso la tranquillità apparente di un'altra provincia italiana. Un'esplosione di violenza, un gesto estremo che ha lasciato dietro di sé una scia di sangue e una serie di interrogativi. Ma la domanda più urgente che ci poniamo è: come si arriva a tanto?
L'INPS ha lanciato l'ennesimo allarme: il sistema pensionistico italiano rischia di trovarsi in uno squilibrio sempre più profondo. E no, non stiamo parlando del solito "allarme meteorologico", ma di qualcosa che colpisce la tasca di milioni di persone. Secondo quanto riportato, il potere d’acquisto dei pensionati sta calando a picco e il sistema nel suo complesso non regge. È come se stessimo navigando su una nave con troppe falle e troppo poche mani a tappare i buchi. Il problema, però, non è nuovo. Da anni sentiamo parlare della necessità di riformare il sistema pensionistico, di "aumentare l’età pensionabile" e di "ridurre il peso sulle casse dello Stato". Ma in pratica cosa significa tutto questo per noi?
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un'invasione sui social media da parte degli adulti che, superato il divario digitale, si sono lanciati in una battaglia a colpi di post e commenti. Secondo We Are Social, quasi 43 milioni di italiani sono attivi sulle piattaforme, con una crescita del +5,4%. Molti di questi nuovi arrivati sono i cosiddetti "Boomer" (nati tra il 1946 e il 1964), che si sono adattati al mondo digitale con meno freni di quelli che avrebbero nella vita reale. Purtroppo, questo ha portato a un fenomeno noto come effetto Dunning-Kruger, dove chi sa poco crede di sapere tutto, e non è mai stato più evidente di quanto lo sia online.
Le generazioni si distinguono non solo per la loro età, ma anche per le esperienze comuni che le hanno plasmate. Dalla "Generazione Perduta" alla "Generazione Z", ciascuna ha lasciato il suo segno unico nella storia. Ecco un approfondimento su queste diverse coorti generazionali, con indicazioni sulla fascia d'età, l'origine del nome e le loro caratteristiche principali.
Generazione Perduta (Lost Generation)
- Anni di nascita: 1883-1900
- Origine del nome: Il termine "Generazione Perduta" fu coniato da Gertrude Stein e reso celebre da Ernest Hemingway. Riferito ai giovani che avevano vissuto la Prima Guerra Mondiale, indica una generazione segnata dalla disillusione e dalla perdita di fiducia nei valori tradizionali.
- Caratteristiche principali: Questa generazione è nota per il suo pessimismo e la sua ribellione contro le norme sociali. Hanno vissuto il tumulto della guerra e spesso si sono sentiti alienati dalla società postbellica.
Gli anziani e il cambiamento: un dramma moderno che sembra preso da un manuale sulle fasi del lutto. La maggior parte è bloccata tra la negazione e la rabbia, incapaci di accettare un mondo che cambia più velocemente di quanto loro riescano a tenere il passo.
In negazione, si rifiutano di ammettere che cose come l'intelligenza artificiale, i diritti LGBTQ+ e i social media esistano davvero. “Ai miei tempi queste cose non esistevano,” ripetono come un mantra, sperando che il mondo ritorni magicamente agli anni '50.
E quando la realtà li colpisce in faccia? Si infuriano. L'omofobia, il patriarcato e il bigottismo diventano le loro armi preferite. "Ai miei tempi si sapeva come stavano le cose!" urlano, scatenando crociate contro tutto ciò che è moderno. Ogni Pride è visto come un'invasione aliena, ogni passo verso l'uguaglianza come una minaccia all'ordine naturale.
Non riescono a vedere che la loro resistenza al cambiamento li isola, li rende anacronistici e privi delle gioie che la modernità può offrire. La loro battaglia contro la modernità è come cercare di fermare una tempesta con un ombrello bucato.
Quindi, cari anziani, è ora di accettare che il mondo va avanti. Il cambiamento non è una minaccia, ma un'opportunità di crescita. Continuare a combattere battaglie già perse non vi farà tornare ai “bei tempi andati”. Il futuro non aspetta, e se non vi adattate, rimarrete solo con la vostra nostalgia e i vostri pregiudizi.
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